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I colori della Madre Terra: intervista per Terranuova.it

La preziosa opportunità di raccogliere le mie tante ramificazioni e di allacciarle con un solo filo me la dona Giuditta Pellegrini con questa intervista per Terranuova.it

I colori della Madre Terra: intervista a Marina Girardi

Cantastorie, illustratrice, fumettista, yogini: sono solo alcuni degli aspetti che fanno di Marina Girardi un’artista poliedrica, che racconta del nostro rapporto perduto con la Terra. La sua è una ricerca espressiva potente, che dissotterra simboli antichi capaci di riappacificarci con la natura, anche nel suo lato più selvatico.
Illustratrice e fumettista con numerose pubblicazioni alle spalle. Ma anche cantastorie, autrice di canzoni e yogini: sono solo alcuni degli aspetti che fanno di Marina Girardi un’artista poliedrica, che racconta del nostro rapporto perduto con la Terra. Attraverso lo sguardo guidato dai protagonisti delle sue storie, quasi sempre ambientate in paesaggi naturali o fiabeschi, la separazione col regno della natura si squarcia. Che si tratti di antri nei tronchi d’albero, degli occhi indagatori di un cervo o di una tempesta in città, la visione che ci restituisce della natura marina Girardi è emozionante, onesta e diretta e ci rende testimoni di un mondo palpitante che chiede di essere preservato. Sempre in viaggio per paesi e città, a piedi o con la bicicletta da pittrice da lei modificata per trasportare colori, cavalletto e disegni, che le permette di dipingere in mezzo alla gente, Marina Girardi è portatrice di una ricerca espressiva potente, che dissotterra simboli antichi capaci di riappacificarci con la natura, anche nel suo lato più selvatico. Marina, da dove nasce la tua ispirazione? La mia ispirazione è sempre venuta dalle forti impressioni che ricevo dai luoghi, dal legame con essi e dal loro attraversamento. Soprattutto luoghi dove la natura e le persone sono in stretto contatto, perché sono stata abituata a frequentarli fin da bambina, seguendo l’impulso del momento, piuttosto che strade preordinate. Lo strumento dell’immagine e della parola combinati insieme come nell’illustrazione e il fumetto, mi consentono sia di descrivere quello che incontro che di esprimere un’elaborazione più intima, evocativa. Il canto mi permette di raccontare un vissuto che è legato a quello del corpo mentre l’attraversamento a piedi di ambienti naturali di creare l’ampiezza temporale in cui la mente si riordina e si riallinea alla sua struttura più selvatica. Ho sempre avuto bisogno di camminare in natura, in maniera lenta, seguendo il mio tempo interiore, lasciando spazio per l’osservazione e per aspettare di ricevere quello che arriva.
E’ per questo che hai iniziato a organizzare laboratori di disegno dal vero durante delle camminate in mezzo alla natura? Si, ho iniziato a creare questo tipo di situazione anche per e con altre persone. Quando si cammina insieme si apre un dialogo tra i partecipanti, si crea immediatamente un’atmosfera di condivisione. Il cammino è un coadiuvante dell’energia creativa, in cui è immediato il rilassamento delle tensioni e il sentirsi a proprio agio in quello che si fa, andando oltre le voci che ci dicono che non siamo all’altezza. Queste passeggiate collettive, con le narrazioni che mettiamo in atto, sono poi fonte di ispirazione anche per me. Quello che propongo è un approccio, a volte è il gruppo che mi porta in luoghi dove non sono mai stata. Io semplicemente guido lo sguardo, l’osservazione. Questi laboratori sono nati intorno alla narrazione a fumetto, ma ora li sto sempre più asciugando, rendendoli delle vere e proprie esperienze emozionali dei luoghi. La storia del posto, le leggende, si intrecciano al vissuto della persona che partecipa, fino a far sì che nasca un’impressione poetica personale e unica. Il racconto e il disegno sono gli strumenti di indagine e di osservazione attraverso cui rimane traccia del riflesso emotivo che il paesaggio ha impresso sul partecipante. Tu pratichi yoga da molto tempo, stai facendo la scuola per diventare insegnante di Yoga Kundalini. In che modo yoga e meditazione entrano nel contesto della tua espressività? Soprattutto nella maniera in cui consentono di approfondire l’ascolto. Spesso, anche durante i laboratori in natura, apriamo uno spazio meditativo, anche con persone che non l’hanno mai fatto. Già solo fermarci e stare in silenzio amplifica le sensazioni di tutto ciò che riceviamo dall’osservazione. Questo fa si che le persone si calino nel paesaggio più profondamente, perché sentono di farne parte. Credo che questa sia la cosa più preziosa, perché quello che siamo arrivati a fare come genere umano scaturisce molto dal fatto che non siamo più in ascolto, non sentiamo più questa unione con le cose che ci circondano. Anche il disegno stesso è una tecnica di contemplazione che permette di diventare un’antenna: attraverso gli occhi e poi la mano il paesaggio entra dentro di noi e lascia una traccia, ci trasforma, in una forma di profonda empatia che permette di sanare il senso di separazione che viviamo. Credi che questa relazione con il tempo, con la natura, con ciò che muta come le stagioni può avvenire anche se si vive in città? In città è molto più difficile, perché siamo sempre in rapporto con degli altri esseri umani e con le loro opere e non ci mettiamo mai veramente in relazione con uno spazio altro da noi, come quello naturale che ci avvolge e coinvolge totalmente. Sono convinta che in città si possano senz’altro forgiare degli strumenti, è un laboratorio umano e per questo è molto interessante, però credo che per sentire in profondità la pasta di cui siamo davvero fatti, sia necessario uscire e ricavarsi degli spazi di silenzio al cospetto di qualcosa di più grande. La città inoltre ovatta il nostro realismo ecologico e gli sconvolgimenti climatici arrivano in gradazione molto minore. Appena esci e sali anche solo di pochi metri di altitudine ti rendi conto di un bosco che sta soffrendo perché non piove da mesi, della neve che cade su alberi con già le foglie, di un torrente che invade la strada, di una frana che non ti permette di passare: tutte cose di cui in città non si ha la percezione. Credi che il tuo lavoro potrebbe essere un modo per portare la natura di fronte a chi non ha più questo legame? Sicuramente, e sto cercando di farlo anche in altro modo, per esempio attraverso le favole, che mi consentono di lavorare in ambienti artificiali, come quello urbano. Le fiabe sono dei boschi simbolici, attingono al nostro immaginario archetipico, che è comune a tutti e attraverso la loro lettura ritroviamo il senso di unione universale. C’è un coinvolgimento sensoriale minore rispetto a quello che si ha in natura, però si scava a livelli molto profondi nella psiche.
Molte tue immagini, come quelle che rappresentano bambine eroiche o Dee in stretta simbiosi con il regno delle natura, sono delle icone molto potenti. Pensi che possano avere un impatto nella ricostruzione dell’immaginario collettivo, oggi così frammentato e colonizzato?
Queste immagini non sono altro che il forte bisogno di restituire quello che ricevo da una ricerca di stato di connessione. Hanno un impatto forte perché in realtà sono già parte delle altre persone. Attingono ad un immaginario collettivo di cui è necessario ritrovare le tracce, e lo sto facendo io come tanti altri artisti. Il nostro immaginario è devastato e dobbiamo riportare alla luce le fonti iconografiche che sono strumenti di rifugio, dialogo e connessione.