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Bedoyela, figlia della betulla, fu ritrovata appesa al ramo di un’albero dai guerrieri Arimanni della Val di Fassa e affidata a una saggia Vivèna, fata dei boschi. Dea Bianca, Kore, divinità del primo ciclo lunare dell’anno e della prima runa celtica dell’alfabeto arboreo, Bedoyela sacrifica il suo salvatore, che divenne poi il suo sposo, trafiggendolo con una freccia di vischio. Con la sua morte si concluse la stagione solare nell’equinozio d’autunno e ebbe inizio il lungo inverno.
Gruppo del Sella, Alba di Canazei, Ciampac, Buffaure, Passo di San Nicolò, Col Ombert, Ombretta, Marmolada / settembre 2019
Soundrtack: Penguin Cafè / Live @ Suoni delle Dolomiti
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Dai Lastoi de Formin si stacca il masso ed erra trasportato dai ghiacciai. Sotto la sua ombra rimane sepolto per 7500 anni il cacciatore che saliva con la tribù in estate, quando i cervi attraversavano la Forcella Ambrezzola per abbeverarsi nel lago che riempiva la piana di Mondeval. Mi fermo a cercare chi, insieme alla Croda da Lago, lo ha vegliato durante questo tempo di pietra. E poi risalgo sull’altro versante del passo Staulanza, sul dorso della Civetta, per sorprenderne il volo di custode delle acque che portano agli inferi. Le Grandi Madri della montagna guardano negli occhi la morte, intrecciano i suoi fili con il mistero della rinascita.
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Dalle sorgenti del Piave salire verso il Passo del Mulo e a Sella Franza scoprire che sulle Creste del Ferro ancora volano le contìe, i racconti che erano trasmessi attraverso le voci e i canti. Visioni in continua metamorfosi, le contìe erano pura potenza del simbolo prima che la parola scritta tentasse di catturarle, trasformandole in favole, miti e leggende che ne riportano solo gli echi lontani.
Radici profonde nel grembo di un monte
conservano un sepolto segreto
di origini –
(Antonia Pozzi, Radici)
Il cielo che avevo sulla testa quando sono nata era a forma di montagna, di parete dolomitica.
Il Monte Civetta, la Marmolada, le Pale di San Lucano, il Giau, il Nuvolau, le Tofane:
La via che porta alle grandi madri di pietra è incisa dentro, come il corso di un torrente che prima scorre sotterraneo, e poi quando affiora mi trascina con la sua carica misteriosa, mi impone di risalire alla sorgente, di camminare a lungo, di fermarmi a prestare ascolto. Allora mi metto in viaggio, a caccia delle tracce di radici ancestrali che mi legano alla matrice, e così a tutto ciò che mi circonda.
“Le Dolomiti, rivestite di luce di luna, labirintiche montagne-isola chiuse nel loro mistero, formano un paesaggio onirico dove la profonda saggezza del pensiero antico trova una congeniale visualizzazione: le linee geografiche degli antichi atolli corallini non seguono il processo lineare dell’orogenesi alpina, bensì quello curvilineo degli indecifrabili flussi marini. I Monti Pallidi, per analogia, non portano con sé i segni del tempo lineare, bensì il mistero del tempo ciclico, il tempo sacro dell’eterno ritorno. Forse è questo il più remoto, e al contempo il più vero fascino di queste montagne, riconosciute, com’è giusto che sia, patrimonio dell’umanità.”
(Ulrike Kindl, Miti ladini delle Dolomiti)
“…esiste un ricercare detto nyubu: significa ritirarsi sui monti per capire se stessi e ricostituire le connessioni con il Grande. É un antichissimo rituale legato ai cicli di preparazione della terra, della semina, del raccolto.”
(Clarissa Pinkola Estés, Donne che corrono coi lupi)
A Tera Salvaria, che in ladino significa “terra selvaggia”, un festival di musica folk che ogni anno si svolge in Val Badia, tra le dolomiti trentine, conosco Ulrike Kindl, una studiosa che ha dedicato gran parte della sua vita allo studio del folklore alpino. Sotto alla pioggia battente della luna piena di agosto, Ulrike ci narra le gesta mitologiche che hanno avuto come scenario proprio le rocce e i boschi che ci circondano: sulle Dolomiti si possono ancora trovare tracce di miti antichissimi, che hanno per protagoniste Regine lunari, Signore di regni sotterranei, Maghe sapienti delle acque, Amazzoni a cavallo dei loro destrieri di tenebra.
Sono narrazioni che risalgono a tempi in cui il mondo degli uomini e delle donne era ancora regolato secondo i cicli lunari e le leggi della natura erano strettamente intrecciate con quelle di un mondo soprannaturale popolato da potenti presenze numinose.
Incastonato tra i ghiacci di vallate che per secoli e secoli sono rimaste isolate dal mondo, questo repertorio mitologico è stato tramandato per via orale ed è miracolosamente sopravvissuto al passaggio degli Dei guerrieri delle società patriarcali, alla zelante opera di bonifica in nome del Dio cristiano e infine ai rimaneggiamenti in chiave romantica di chi comunque fece il preziosissimo lavoro di raccolta e trascrizione all’inizio del secolo scorso.
M’incammino e mi metto in ascolto, annuso le tracce. Vado alla ricerca, con lo sguardo che contempla disegnando. Eccole ancora le grande madri della montagna: si nascondono tra le rocce, tra le sassaie, nei boschi di cirmoli e i baranci di pini mughi, sotto le cascate, in fondo ai torrenti che scavano le valli.