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Dai Lastoi de Formin si stacca il masso ed erra trasportato dai ghiacciai. Sotto la sua ombra rimane sepolto per 7500 anni il cacciatore che saliva con la tribù in estate, quando i cervi attraversavano la Forcella Ambrezzola per abbeverarsi nel lago che riempiva la piana di Mondeval. Mi fermo a cercare chi, insieme alla Croda da Lago, lo ha vegliato durante questo tempo di pietra. E poi risalgo sull’altro versante del passo Staulanza, sul dorso della Civetta, per sorprenderne il volo di custode delle acque che portano agli inferi. Le Grandi Madri della montagna guardano negli occhi la morte, intrecciano i suoi fili con il mistero della rinascita.
Passi Erratici gioca con la semplice sostituzione di una lettera per appropriarsi delle caratteristiche dei massi erratici (grandi rocce che in migliaia di anni sono state trasportate in pianura dall’azione di un ghiacciaio) e trasferirle a un progetto che vuole esplorare il legame tra montagna e pianura e riflettere sui cambiamenti della natura e dell’uomo. Obiettivi che condivide con il Festival Torino e le Alpi, ideato e sostenuto dalla Compagnia di San Paolo e nella cui cornice Passi Erratici è inserito.
Il progetto è partito il 6 agosto con un trekking che ha coinvolto 7 artisti, un curatore e 2 grafici del catalogo, in tre giorni di cammino attorno al Monviso. Storia, ingegneria, natura e leggenda. Il Viso racchiude in sè l’essenza della montagna. Essenza che durante i giorni di cammino è servita da spunto per la realizzazione di molti tra i lavori che presentati nelle mostre che il 12 e 13 settembre hanno aperto al Museo Nazionale della Montagna di Torino e al Forte di Exilles. Laura Pugno, Brave New Alps, How We Dwell, Luca Giacosa, Fabio Battistetti, Jonathan Vivacqua, Marina Girardi, Alessandro Quaranta, Francesco Del Conte, Enrico Gaido, Pierluigi Pusole e Walter Visentin hanno esplorato il tema della montagna utilizzando linguaggi e approcci diversi. Come nel panorama a 360 gradi che si vede da ogni cima, Passi Erratici presenta fotografie, installazioni, video, sculture e performance che trattano i temi del viaggio e dell’esplorazione, della memoria della vita alpina passata e di quella presente, della forza ispiratrice della natura, dell’ecologia ed ecosostenibilità, della montagna vista in relazione con la città.
Il curatore del progetto Passi Erratici, Stefano Riba
San Nicola Arcella è un piccolo paese dell’Alto Tirreno, in Calabria. Il vecchio borgo marinaro è sospeso tra un casinò abbandonato e la spiaggia affollata dai turisti. Michele D’Ignazio, che in inverno scrive per i bambini le storie di una matita, ci invita al Vicolo Vineria, il locale che gestisce nel centro storico durante l’estate. Lo spettacolo della cantastoriessa riempie una piazzetta dove tavolini e sedie finiscono dentro alle cantine. Le mura vetuste e i vicoli meno frequentati finiscono tra i nostri appunti disegnati. Con Michele saliamo sui monti che sovrastano il paese a conoscere Caterina, intenta a preparare la cena per i suoi figli pastori. Il gregge non scenderà prima di sera dalle cime ripide e sassose, quando noi saremo purtroppo già ripartiti.
Nel bel mezzo del Molise invece, la regione che dicono non esista, in un vicolo del centro storico di Larino, dentro a una stanzetta piena di libri, come un tesoro, scopriamo il Circolo Culturale Afra. Ci accolgono la sua fondatrice Caterina Franceschini, che da anni scava il solco per piantare i semi della cultura condivisa, insieme a Cinzia Minotti e Chiara Scarpone, creatrici di Alberi Sonori per il recupero di musiche tradizionali. Insieme a loro scendiamo alla fonte delle storie del borgo, intrecciamo storie e scacciamalocchi, disegniamo strade e tratturi, cantiamo di amori e cospirazioni fino a tarda notte.
Quando però arriva l’ora della janare anche le migliori compagnie si devono separare.
Scopriamo la riserva naturale Zompo lo Schioppo durante una rigida giornata di inizio gennaio, girovagando tra le valli abruzzesi che confinano col Lazio.
Per salire alla sorgente che dà il nome alla riserva bisogna attraversare un bosco di castagni, aceri e cerri. Ma solo quando i faggi secolari contorcono i loro tronchi grigi si giunge al cospetto di un salto d’acqua che sembra la lunga lingua bianca del Monte Crepacuore, da cui il torrente sgorga gettandosi nel vuoto con uno zompo, appunto, di più di ottanta metri.
Salutata la cascata più alta d’Appennino, sul sentiero del ritorno ci imbattiamo in tre possenti cavalli da tiro che riposano dopo il lungo lavoro, protetti da un cane da pastore.
Poco più in là due uomini stanno caricando un camion con grossi tronchi di castagno. Sostiamo a ritrarre le loro magnifiche bestie ed ecco che ci si presentano: sono Peppe Manni, 74 anni, boscaiolo da generazioni e uno degli ultimi ad adoperare ancora i cavalli per il carico nel bosco, e suo figlio Ezio, che si trova qui in occasione delle vacanze di Natale, visto che ormai ha lasciato la ditta del padre per lavorare nel cantiere dell’Alta Velocità della Stazione di Bologna.
I ritratti dei cavalli riscuotono apprezzamento, Ezio poi è sicuro di avermi giù visto intenta a dipingere con la mia bicicletta in via Oberdan… e così in men che non si dica veniamo invitati a cena:
Peppe continua a riempire i bicchieri col suo corposo vino novello mentre ci racconta una vita spesa su e giù per le montagne di tutto il centro Italia:
– Facevo da solo il lavoro de tre, quattro uomini: quant’evvero iddio, ero l’uomo più forte della valle!
-Adesso il lavoro non c’è più, ci spiega Ezio, la legna arriva dall’estero, a prezzi troppo bassi, e noi abbiamo già dovuto vendere quasi tutti i cavalli.
Elisa, la moglie di Peppe mentre ci serve le ciambelline al vino, con gli occhi che non smettono mai di sorridere ci raccomanda:
-I disegni che avete fatto portateli a Bologna, che lassù queste cose neanche se le immaginano!
Cara Elisa la vostra storia è diventata un’altra canzone disegnata della Cantastoriessa di Nomadisegni:
I disegni di Rocco e altre foto dello Zompo lo Schioppo su www.nomadisegni.it
Cosa ci fa quel ragazzo seduto a terra, appoggiato al muro sotto al portico del Crusel?
È da più di mezz’ora che scrive senza alzare gli occhi da un foglio che tiene appoggiato alle ginocchia, totalmente assorto nella sua occupazione. Eppure fa freddo, è dicembre inoltrato e la sera, a quest’ora la temperatura sarà poco sopra lo zero. Ma lui continua a scrivere, senza badare alla gente rumorosa che popola via del Pratello.
– Forse è ubriaco, penso, sarà uno scrittore a cui è giunta fulminea un’ispirazione…-
Nell’avvicinarmi mi accorgo che i fogli già scritti sono tanti, con caratteri arabi, calcati forte da una biro blu.
– Cosa scrivi? Gli domando accovacciandomi al suo fianco
– Una lettera, per i miei fratelli che sono alla Dozza – fa lui, alzando gli occhi neri dalle pagine fitte di parole – anche se non serve a molto io gli scrivo per fargli sentire che sono vicino… in carcere fa molto freddo.
– Come ti chiami?
– Ahmadi, vengo dalla Tunisia
– Un paese difficile..
– È questo che fa più male, perchè anche se i miei fratelli sono di nuovo liberi, poi è un casino anche fuori.
LE ALTRE PIANTAGGINI si trovano sugli arretrati di PIAZZA GRANDE oppure si possono leggere QUI.